LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente ordinanza sulla controversia di cui al seguente fascicolo: r.g. fasc. n. 3912/96 contenente appello principale n. 812/92 presentato a mano in data 29 gennaio 1992 con ricevuta n. 285/92 da Citro Michele, residente a Cesano Boscone in via Boccaccio 2B, (controparte: Ufficio del registro di Milano 1 privati) contro la decisione: n. 301/9/91 pronunciata in data 23 ottobre 1991 (atti citati: avv. di accert. n. 882V00969. Imposta: registro (fabbricati) (decisioni pronunciate dalla Comm.ne trib. di primo grado di Milano). Avverso l'accertamento di valore dell'Ufficio del registro di Milano - Privati 1, notificato il 2 marzo 1990, relativo a trasferimento di immobile, l'acquirente Citro Michele presentava ricorso alla Commissione tributaria di primo grado, contestando l'eccessivita' del valore stesso ed il riferimento ad una metratura superiore a quella effettiva. Il Collegio adito respingeva il ricorso, sulla base della mancata presentazione da parte del ricorrente di valida documentazione a sostegno delle proprie argomentazioni. Con l'appello presentato il 29 gennaio 1992, il contribuente ribadisce i motivi esposti nel ricorso di primo grado, confermando che la superficie del locale ad uso magazzino e' di mq. 21 e non mq. 60, come accertato dall'Ufficio, ed allega copia autentica della planimetria catastale, a comprova della sua affermazione. Lamenta, infine, che la valutazione dell'ufficio (lire 300.000 al mq.) e' superiore di oltre il 20% a quella della quotazione di mercato esistente all'epoca del rogito (1988) e conferma, pertanto, il valore dichiarato. M o t i v i 1. - Il Collegio ritiene che la decisione sul merito dell'appello in esame non possa essere adottata senza la previa soluzione di una questione di legittimita' costituzionale. 2. - Va premesso, in punto di fatto, che nessuna delle parti costituite ha chiesto, con apposita istanza, la discussione della controversia in pubblica udienza ai sensi dell'art. 33, comma primo, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. 3. - La questione di legittimita' costituzionale, rilevante nel presente giudizio in quanto necessaria per stabilire la correttezza delle modalita' di svolgimento dell'udienza, riguarda proprio la legittimita' costituzionale dell'art. 33, comma primo, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, laddove subordina la pubblicita' dell'udienza in cui si svolge la trattazione della causa alla previa, tempestiva istanza di almeno una delle parti. Questa norma appare in contrasto con l'art. 101, comma primo, della Costituzione, secondo l'interpretazione che ne ha dato la stessa Corte costituzionale con la sentenza 16 febbraio 1989 n. 50 la quale ha dichiarato illegittimo l'art. 39, comma primo, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nella parte in cui impediva la pubblicita' delle udienze avanti le Commissioni tributarie di primo e di secondo grado. In quell'occasione la Corte, ribadendo quanto gia' espresso con la sentenza n. 12 del 1971, ha affermato che poiche' l'amministrazione della giustizia trova fondamento nella sovranita' popolare (art. 101, comma primo, della Costituzione), deve ritenersi implicita nei principi costituzionali che disciplinano l'esercizio della giurisdizione la regola generale della pubblicita' dei dibattimenti giudiziari, che puo' subire eccezioni solo per determinati procedimenti, quando vi sia un'obbiettiva giustificazione. La Consulta ha altresi' aggiunto che per i procedimenti tributari non solo non sussiste alcuna ragione che possa giustificare l'eccezione e, quindi, la non pubblicita' dei relativi dibattimenti, ma che, anzi, sono ravvisabili peculiari esigenze a favore della pubblicita' delle udienze, dal momento che, "in base all'art. 53 della Costituzione, l'imposizione tributaria e' soggetta al canone della trasparenza, i cui effetti riguardano anche la generalita' dei cittadini, nonche' ai principi di universalita' ed uguaglianza, onde la posizione del contribuente non e' esclusivamente personale e non e' tutelabile con il segreto". La Corte, infine, ha sottolineato che "la generale conoscenza delle controversie tributarie puo' giovare alla concreta attuazione del sistema tributario e concorre a ridurre il numero degli inadempimenti e degli evasori in genere". Le argomentazioni esposte nella citata sentenza dalla Consulta a sostegno della pubblicita' delle udienze avanti le Commissioni tributarie portano a ritenere illegittima la formulazione dell'art. 33, comma primo, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, laddove subordina la pubblicita' dell'udienza in cui si svolge la trattazione della causa alla previa, tempestiva istanza di almeno una delle parti. Non v'e' dubbio che se il riconoscimento della necessita' che le udienze avanti le Commissioni tributarie siano pubbliche si basa, oltre che sul principio generale, secondo cui l'amministrazione della giustizia trova fondamento nella sovranita' popolare (art. 101, comma primo, della Costituzione), anche sul rilievo particolare, in base al quale l'imposizione tributaria e' soggetta al canone della trasparenza, dal momento che i suoi effetti riguardano anche la generalita' dei cittadini (art. 53, comma primo, della Costituzione), non appare legittimo sul piano costituzionale che la pubblicita' delle relative udienze sia rimessa alla valutazione discrezionale delle parti costituite e rientri nella loro piena disponibilita' cosi' come previsto dall'art. 33, comma primo, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Se si afferma, infatti, cosi' come ha affermato la Corte che, sul piano costituzionale, "la posizione del contribuente non e' esclusivamente personale e non e' tutelabile con il segreto", in quanto l'esigenza di pubblicita' dell'udienza discende dai principi di universalita' ed uguaglianza, non e' poi possibile ritenere compatibile con la normativa costituzionale un sistema che affidi alla disponibilita' delle parti, proprio la pubblicita' delle udienze. 4. - La questione di legittimita' costituzionale cosi' individuata si appalesa ancora piu' pregnante nel vigore della nuova normativa che regola il processo tributario, ove si consideri che gli artt. 33, comma secondo, e 35, comma primo, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, escludono che, in caso di trattazione in camera di consiglio, le parti possano essere presenti e possano, quindi, essere sentite. L'art. 33, comma secondo, nel precisare le modalita' di trattazione in camera di consiglio, dispone che: "Il relatore espone al collegio, senza la presenza delle parti, i fatti e le questioni della controversia". L'art. 35, comma primo, dispone che: "Il collegio giudicante, subito dopo la discussione in pubblica udienza o, se questa non vi e' stata, subito dopo l'esposizione del relatore, delibera la decisione in segreto nella camera di consiglio". Dal tenore delle due norme risulta che, nel caso di trattazione in camera di consiglio (che costituisce, come si e' visto, l'ipotesi normale di svolgimento della controversia, in assenza dell'istanza di discussione in pubblica udienza) le parti, sia in proprio, sia mediante il loro difensore abilitato, non possono comparire in udienza per svolgere le proprie difese. La mancata previsione del principio della pubblicita' delle udienze si configura, quindi, anche come una violazione dell'art. 24, comma secondo, della Costituzione, secondo cui: "La difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento", dal momento che la presenza m udienza delle parti costituite, viene, di fatto, ostacolata, in quanto subordinata alla presentazione dell'istanza di discussione in pubblica udienza, la quale e' sottoposta a termine di decadenza (10 giorni liberi prima della data di trattazione) entro il quale deve essere notificata alle parti costituite e depositata nella segreteria. Questo trattamento riservato dal legislatore alle parti costituite, appare quanto mai singolare alla luce anche della pregressa giurisprudenza tributaria che aveva sottolineato la particolare rilevanza ai fini della decisione della presenza delle parti in udienza, giungendo ad individuare l'obbligo del presidente di rinviare la discussione, pena la nullita' della decisione, quando il rappresentante dell'ufficio non abbia potuto partecipare all'udienza di discussione a causa dell'astensione dal lavoro del personale dell'amministrazione finanziaria (Comm. centrale imposte, sez. XII, 4 ottobre 1979, n. 9420). Il Collegio osserva che non e' ravvisabile alcun serio motivo che giustifichi un meccanismo che ostacoli o, addirittura, impedisca la presenza delle parti all'udienza, ove potrebbero dare un contributo alla definizione della controversia sia illustrando le loro argomentazioni, sia fornendo chiarimenti e precisazioni, tali da evitare decisioni istruttorie, nel rispetto del principio di economicita' del giudizio. 5. - La questione di legittimita' costituzionale sopra illustrata si appalesa, oltre che non manifestamente infondata, rilevante in questo giudizio in cui, non essendo stata presentata istanza di discussione in pubblica udienza, la trattazione si e' svolta in regime di non pubblicita' e la decisione nel merito, senza il previo esame di detta questione, verrebbe adottata in assenza dei canoni di trasparenza, gia' ritenuti essenziali dalla Corte costituzionale.